VII DOMENICA del T.O.

Dal libro del profeta Isaia 43,18-19,21-22,24b-24
Dal Salmo 40
Dalla 2ª lettera di S. Paolo ai Corinti 1,18-22
Dal Vangelo secondo Marco 2,1-12.

Così dice il Signore: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?».
E’ questo l’invito che ci viene oggi dalla Parola: dimenticare tutto ciò che di male abbiamo fatto o subìto e accorgerci che con il Signore si può ricominciare a vivere.
Il brano tratto dal profeta Isaia sottolinea con immagini emblematiche la costante attenzione  di Dio verso gli uomini: per noi traccia una strada nel deserto, dove sappiamo con certezza che i venti cancellano immediatamente qualsiasi traccia, per noi irriga l’arida steppa con fiumi d’acqua. Il Signore opera costantemente in nostro favore mentre noi…: «Invece tu non mi hai invocato, anzi ti sei stancato di me…».
Quanto rammarico, quanto dispiacere in questo “invece”, del Signore; è simile a quello di  tanti genitori che, vedendo i comportamenti dei figli si chiedono dove abbiano sbagliato; è come quello che prova un amico il quale, nonostante abbia dato tutto poi, nei fatti, si sente tradito.  Ma il Signore non si lascia scoraggiare, non si stanca di noi e oggi ci dice: «..io non ricordo più tuoi peccati» e invita ognuno di noi a non ripensare più alle cose passate.
Egli ci conosce nel profondo e sa che i nostri blocchi, le nostre sofferenze spesso sono causati dai ricordi, dalle amarezze che ci portiamo dentro, più o meno consciamente, dai nostri peccati. “Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”  Sembra quasi che il Signore si sorprenda per la poca attenzione che diamo a “questa cosa nuova” che sta germogliando, che Lui sta facendo sbocciare per noi. Siamo così presi dalle difficoltà quotidiane della vita che non vediamo la Sua opera in noi e intorno a noi. Ci dibattiamo tra mille fatiche senza sapere dove andare a parare; cerchiamo spesso facili scappatoie mentre il Signore ha pronta per noi, in modo molto personale, una parola di consolazione, di liberazione e di guarigione. Sicuramente il paralitico di cui si narra nel brano del vangelo di Marco si è “accorto” che Gesù stava facendo una “cosa nuova” per lui; anche quelli intorno hanno intuito che stava succedendo qualcosa di grande che andava ben al di là della guarigione dalla paralisi. Tutto si svolge a Cafarnao. La gente ha saputo che Gesù è tornato in città e infatti “…si radunarono tante persone che non vi era posto neanche davanti alla porta…” .
Cosa fa Gesù per attirare tanta gente? L’evangelista Marco ci racconta che “…egli annunciava loro la Parola.”  Doveva essere coinvolgente se le persone accorrevano così numerose! Quella Parola  è giunta fino a noi e ogni domenica, ci raduniamo per ascoltarla. Mi chiedo se abbiamo la stessa ansia, lo stesso desiderio che avevano gli abitanti di Cafarnao, se siamo disposti ad accalcarci nei luoghi dove viene proclamata, pur di udirla.
La Parola, allora come oggi e per l’eternità, è la cura, la consolazione, il conforto per ogni persona; è la liberazione da ogni tipo di impedimento per vivere bene, è la guarigione dalle nostre paralisi.
Dobbiamo confessare però che la conosciamo poco e per questo siamo tutti più poveri. “Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo dinanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono rimessi i peccati».
Non so se qualcuno è stato mai trasportato sopra una barella: è un’esperienza poco piacevole, a dire il vero: il senso di insicurezza è totale e la sofferenza è grande. Immagino il povero malato che prima viene issato sul tetto e poi  calato nella casa: non parla, non si lamenta, non chiede. Egli è tranquillo solo perché è nelle mani dei suoi amici. Non sarebbe mai giunto davanti a Gesù se qualcuno non l’avesse portato là: la comunità degli amici si è fatta “carico” del problema, si è impegnata, non come semplice mano d’opera, ha messo in gioco la stessa fede.
Il paralitico sta disteso davanti a Gesù, in silenzio; dopo tanta fatica mista a paura, in un attimo e gratuitamente, si sente chiamare “figlio” e riceve il perdono dei peccati per la fede sua e dei suoi amici. Non obietta nulla né tanto meno i suoi amici ne rivendicano la guarigione però intorno c’è più di qualcuno che maligna nel segreto del cuore. Le critiche provengono dalle persone che sono presenti là, nella casa, in buona salute e soprattutto sedute: la comodità prima di ogni altra cosa! Inizia una discussione su Gesù e sul suo potere di rimettere i peccati. Il Signore non deve dimostrare niente e, con chiarezza, afferma: “Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico – alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua”.
Gesù ha ogni potere in cielo e sulla terra guadagnato grazie alla Sua obbedienza come ricorda S. Paolo nella 2ª lettera ai Corinti: “Il Figlio di Dio, Gesù Cristo… non fu un «sì» e «no», ma in lui vi fu il «sì»”.

Ti amiamo, Signore Gesù, che sei il Sì di Dio per noi. In Te ogni obbedienza, in noi ogni peccato. In Te perenne fedeltà in noi ogni genere di tradimento. In Te amore infinito, in noi egoismi e tristezze. Eppure sei venuto per ognuno di noi. Sei venuto per farci alzare dalla nostra barella, per liberarci dalla paralisi del peccato. Rafforza la nostra fede perché  vogliamo portare a Te ogni nostro amico malato, proprio come successe al paralitico, quel giorno a Cafarnao. Amen.

CB 22.02.09 MTM