Gesù ci invita a riflettere su di una scomoda verità conosciuta ad ogni vignaiolo: affinché la vite porti frutto occorre potarla. L’avete mai vista una vite potata? Io sì, provenendo da una famiglia di contadini. Fa impressione vedere la “lacrima” della linfa sgorgare dal taglio, come il sangue da una ferita. Eppure quel gesto è davvero necessario e il tralcio, accorciato nel punto giusto, concentra tutte le sue energie nel futuro grappolo d’uva. La vita ci pota in abbondanza: delusioni, fatiche, malattie, periodi “giù”; è piuttosto inevitabile e lo sappiamo anche se – il più delle volte – ci ribelliamo, ci intristiamo. Curioso l’essere umano: è come se non accettasse la fatica e il fallimento inevitabili nel nostro essere finiti, limitati, segno questo, secondo me, della sua dignità, della sua natura che lo spinge ad andare oltre. Lo confesso: non mi umilia il fatto di non trovare in me, da solo, la risposta alle grandi domande della vita. Cerco aiuto e – cercandolo – ho trovato risposte convincenti. Come viviamo le potature della vita? Il Signore ci invita a viverle nel positivo, come occasione, come possibilità. Certo, quanto amor proprio devo mettere da parte, quanta pazienza esercitare, quanto equilibrio mettere in atto per non scoraggiarmi e deprimermi, per non offendermi e prendermela con voi e con Dio. Eppure è un tragitto obbligato: l’accettazione serena (mai rassegnata!) delle contraddizioni della vita concentra la linfa vitale della mia vita in luoghi e situazioni inattesi e con risultati – credetemi – davvero sorprendenti. Allora, le potature sono necessarie, così come la grande e dolorosa potatura degli apostoli, masticati dalla croce, li ha resi davvero apostoli maturi e riflessivi, capaci di annuncio e di martirio e non solo entusiasti e immaturi seguaci di una esperienza nuova.