22 Novembre 2009
XXXIV DOMENICA DEL T. O. (Anno B)

Dal libro del profeta Daniele 7,13-14
Dal Salmo  92
Dal libro dell’Apocalisse Ap 1,5-8
Dal Vangelo secondo Giovanni  18,33b-37

Questa domenica è l’ultima dell’anno liturgico. Lungo l’anno abbiamo ascoltato e meditato le pagine del vangelo di Marco. La liturgia oggi, ci invita a leggere il dialogo drammatico tra il rappresentante dell’imperatore di Roma, Ponzio Pilato, assiso sul trono della sua presunzione e Gesù che sta per essere condannato a morte, immerso nell’abisso delle sue sofferenze.
Il rappresentante di Roma interroga Gesù, ma non ha alcuna capacità di comprendere né ciò che Gesù dice, né tanto meno quello che Gesù è. Quando si sente a sua volta interrogato «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?» Pilato si chiama fuori: «Sono forse io Giudeo?».
Senza dubbio lui non è certamente tra coloro che “aspettano” il liberatore, non ha nutrito alcuna speranza di salvezza, non ha ricevuto la promessa né la sua vita dipende dalla volontà di Dio perché ha Cesare, l’imperatore, che è il padrone del mondo e lui, in cuor suo, sente in qualche modo partecipe di questo potere! Non può capire, il ricco Pilato, cosa significa scegliere di assumere la condizione umana per avere la possibilità di parlare alle persone nella verità, di essere a servizio dei poveri, di farsi prossimo a chi è nella sofferenza.
Il potere, oggi come ieri, non ha la capacità di mettersi a fianco dell’altro, non riesce a comprendere. L’altra domanda che Pilato rivolge a Gesù è: «Che cosa hai fatto?».
E’ la domanda di uno che volutamente ignora Gesù di cui si parla molto al punto che i potenti di allora si sono spaventati e hanno ordito il tradimento e la cattura. L’eco delle sue parole risuonava per quelle terre, le folle lo seguivano, i miracoli erano quotidiani, e il potere si chiede cosa mai abbia fatto.
E’ la stessa domanda che molti si pongono nei riguardi della Chiesa, oggi: «Cosa fa?». Se non si ha la capacità di “ vedere” la domanda è legittima, ma si fa torto alle migliaia di persone che seguono le orme del Signore con scelte radicali, nella fedeltà a ciò che Lui ha detto. Allo stesso tempo però è una domanda che dobbiamo porre a noi stessi in tutta sincerità: «Cosa faccio?».
Tutta la predicazione di Gesù ha avuto una finalità: l’annuncio del Regno. E’ la proposta alternativa nella quale è re chi serve, dove i poveri vengono invitati a fastosi banchetti pur senza indossare abiti firmati, dove le diversità vengono accolte, dove gli umili vengono esaltati, dove i lebbrosi guariscono, dove le donne sono considerate, dove i bambini vengono accarezzati nel rispetto della loro innocenza e gli anziani conservano il loro ruolo di portatori di saggezza.
E’ un regno formato da noi che, con il battesimo, abbiamo ricevuto l’unzione ad essere sacerdoti, re e profeti: possiamo offrire i sacrifici della vita, servire chi è nel bisogno e diffondere la Parola. Siamo tutti chiamati a rendere visibile il Regno con una testimonianza credibile.
Gesù ha detto: «Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Pilato non è dalla parte della verità e non ha ascoltato la voce, le parole di Gesù, ma noi?
E’ una domanda che deve scomodarci, deve metterci in qualche modo a disagio. Oggi i “pilato” si sono moltiplicati ed è diventata urgente la richiesta di una testimonianza coerente e veritiera. Come è scritto nel brano della seconda lettura, tratto dal libro dell’Apocalisse: “Gesù Cristo è il testimone fedele”. Egli è l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Davanti a questa verità chiniamo il capo e l’accogliamo, pur nella nostra incapacità di comprendere la profondità del mistero che ci viene annunciato oggi.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”.
Queste parole sono state scritte da S. Giovanni, il discepolo preferito da Gesù. Quanto amore, quanta verità, quanta fede risplendono in questi versetti! Giovanni si sente amato da Gesù, sente di appartenergli in modo pieno e prorompe in questo grido di esultanza. E’ il canto dei redenti, di coloro che stanno davanti a Dio, giorno e notte, e lodano la Sua maestà infinita.

Gesù, mio Re, mio umile Signore perdona la mia incapacità di darti la lode, l’onore e la gloria che ti sono dovute. Nel mio cuore ho fatto spazio a idoli che non hanno capacità di amare. Oggi la Tua Parola viene a dirmi che mi hai liberata dai peccati con il tuo sangue perché mi ami. Accolgo questa verità nel profondo della mia anima mentre spero di essere in grado, un giorno non lontano, di prorompere in un canto di lode alla Tua Maestà. Amen.

CB 22.11.2009  MTM