06 marzo 2011

9^ Domenica T.O. (Anno A)

Dal libro del Deuteronòmio 11,18.26-28.32

Dal Salmo 30

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 3,21-25a.28

Dal Vangelo secondo Matteo 7,21-27

Prima di addentrarci nel cammino quaresimale la liturgia della Parola ci dà alcune indicazioni sulle strategie da mettere in atto. Prima di tutto bagaglio fondamentale e irrinunciabile è la Parola di Dio che deve letteralmente ricoprirci, dentro e fuori: «Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi».

Di fronte a questo invito, fatto da Mosè al popolo, sorgono numerose domande:Cosa abbiamo nel nostro cuore e nella nostra anima? Quali valori coltiviamo prioritariamente? Cosa poniamo davanti ai nostri occhi. Quali segni pendono dalle nostre braccia?

Le risposte sono facili: sulle braccia di molti sono tatuati immagini, disegni e scritte di ogni genere, spesso di dubbio gusto, messe solo per esibizionismo mentre dai polsi e dal collo pendono simboli spesso legati alla superstizione.

Altro che portare, come pendagli, rotoli con su scritto i versetti della scrittura! Il corpo viene usato come una tavolozza, una bancarella sulla quale esporre prodotti di ogni genere; considerato territorio libero, viene ridotto al ruolo di una discarica per l’abuso e la mancanza di rispetto.

Ecco allora che la raccomandazione di Mosè ci risveglia da un torpore nel quale siamo caduti: rivestirsi della Parola significa ridonare al corpo la sacralità che gli è propria, tornare a considerare il corpo un dono, ritrovare l’unione tra vita e spiritualità .

Il periodo liturgico che ci apprestiamo a vivere è un tempo da dedicare alla purificazione; siamo chiamati a fare discernimento sul nostro cammino di fede e il brano tratto dal vangelo di Matteo ci rimette tutti in riga.

Ad un ascolto superficiale ci sembra di sapere e di aver capito tutto e non ci lasciamo sconvolgere più di tanto, ma l’insegnamento di Gesù oggi è tanto chiaro quanto terribile: né coloro che vivono lontano dalla volontà di Dio, né coloro che pensano di aver fatto qualcosa di buono, che si vantano, che si sentono a posto per aver adempiuto la legge senza lasciarsi coinvolgere il cuore saranno giustificati.

Il brano ci dice che alla nostra rivendicazione delle buone azioni elencate con una precisione da ragioniere Gesù ci dirà: “Non vi ho mai conosciuti…”.

Come funziona, allora? Cos’è che dobbiamo ancora scoprire? Cosa vuole insegnarci il Signore, oggi?

Ciò che Gesù desidera da noi certamente non è una scheda tipo “raccolta punti” con premio finale quanto piuttosto un incontro, un entrare in comunione, una conoscenza che impegni il cuore, l’anima, il corpo, i progetti, la vita.

«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore” Davanti a questa affermazione si può rimanere sorpresi, ma se meditiamo con calma scopriamo che Gesù non ama la prolissità verbale. Il suo modo di relazionarsi è fatto più di sguardi amorevoli che lunghi discorsi, più di gesti di misericordia che di predicozzi.

Egli ci suggerisce una via sicura assicurandoci che, nel percorrerla, diventeremo saggi al punto che nessuna tempesta della vita ci sconvolgerà in quanto saremo piantati sulla Roccia che è Lui stesso. Anche se non siamo ingegneri né geologi sappiamo tutti che le fondamenta di una casa devono poggiare su un terreno solido mentre ignoriamo che la nostra vita spirituale deve necessariamente fondarsi sull’ascolto amoroso della Parola di Dio.

Gesù ci dice “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà simile a un uomo saggio” . La sapienza della vita dunque viene dall’ascolto: il bambino che ascolta i genitori, l’alunno che ascolta l’insegnante, l’apprendista che ascolta l’esperto artigiano ed è forse ciò che ci manca di più al giorno d’oggi. Ci sentiamo così pieni di noi stessi che tutto il resto viene deliberatamente ignorato.

Il Signore viene a spezzare l’invisibile catena della stoltezza e ci chiama ad assumere un nuovo atteggiamento fatto di ascolto umile e di gesti conseguenti.

Nel vangelo di Giovanni al cap. 11,41 viene riportata la scena dalla risurrezione di Lazzaro : Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto”.

Emerge con forza la profonda relazione che c’è tra Dio Padre e Gesù, una relazione di ascolto reciproco: si parlano continuamente, nel buio della preghiera notturna, tra la folla al Giordano, davanti alla sofferenza di un povero, di fronte alla morte di un amico: un colloquio profondo, continuo, intimo. Che stridore con la nostra ricerca della messa domenicale che duri poco, magari senza la predica, alla quale partecipare più per abitudine che per necessità spirituale!

Signore, perdonaci perché abbiamo chiuso le orecchie e il cuore alla tua Parola. Abbiamo creduto di poter fare tutto da soli e ci siamo riempiti di presunzione. Ti ringraziamo per l’insegnamento che vieni a darci: dobbiamo ammettere che abbiamo costruito sulla sabbia dei devozionismi, sul fragili terreni della presunta libertà e stiamo franando. Donaci il desiderio di ascoltare con fedeltà ogni tuo insegnamento e la costanza di viverlo. Solo così faremo la volontà del Padre ed entreremo nel regno dei cieli. Amen.

06.03.2011 MTM