13 marzo 2011

1^ Domenica di Quaresima (anno A)

Dal libro della Genesi 2,7-9; 3,1-7

Dal Salmo 50

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani 5,12-19

Dal Vangelo secondo Matteo 4,1-11

Giovanni Battista era stato nel deserto, anche Gesù viene condotto nel deserto e ancora oggi ci sono persone che scelgono di fare l’esperienza del deserto. Perché?

Il deserto è come uno specchio: è il luogo dove si è costretti guardarsi dentro per scoprire come si è realmente, dove non ci sono paraventi. Non è una esperienza facile, tutt’altro: significa mettere a nudo le proprie fragilità, i difetti, le incongruenze, le ferite. Il deserto ci fa scoprire quanto siamo bisognosi. Solo dopo aver preso coscienza di non essere autosufficienti si può distogliere lo sguardo dallo specchio dell’io per cercare l’Altro, Colui che cura le nostre ferite, che ripara le fragilità, che ci ricostruisce: Dio.

Il tempo del deserto, prezioso e ricco, é pieno di rischi: la solitudine nel quale è immersa l’anima può attirare l’attenzione del tentatore.

Il Vangelo di oggi ci racconta l’esperienza di Gesù. Egli lascia la casa, il cibo, gli amici e soprattutto l’affetto della mamma, per inoltrarsi in un luogo solitario e difficile: volontariamente si incammina verso un’esperienza terribile e dolorosa. Non ha difese, non ha sostegni. Sceglie di vivere come un uomo qualunque: non vuole agevolazioni né sconti pur sapendo che il deserto sarà luogo di grande sofferenza.

Noi non conosciamo questi luoghi, ma Gesù abitava in una terra dove esiste il deserto e la sua scelta ci appare ancora più incomprensibile: rimanere senza cibo, senza riparo e nella più totale solitudine, vuol dire scegliere la povertà completa.

Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame”. L’evangelista non racconta come trascorse i giorni arsi dalla calura e le notti freddissime e buie, non parla della sabbia soffocante né delle rocce taglienti, sottolinea semplicemente che uno dei bisogni primari dell’uomo si fa sentire anche in Gesù: è affamato! Ci sentiamo quasi sollevati perché ha fame come noi, ma dopo quaranta giorni di digiuno!

Ora è più fragile. Il “farsi come noi” comprende anche l’essere tentato e il tentatore pensa di avere la meglio nell’offrire una soluzione magica alla fame: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane».

E’ una sfida e sembra che non ci riguardi; ma se ascoltiamo con attenzione forse abbiamo sentita anche noi questa voce: -Se vuoi lavorare devi scendere a compromessi; se vuoi un posto per tuo figlio devi trasformare il favore in “mazzette”; se hai qualche bisogno devi piegarti; se hai fame… -Sì, oggi molti hanno veramente fame, sono nel bisogno, devono lavorare, ma non a qualsiasi prezzo.

Gesù ci offre una risposta da dare prima di tutto a noi stessi: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Questo dovrebbe essere il bisogno primario dell’uomo: avere fame e sete della Parola di Dio.

Ogni giorno, in maniera ossessiva, la pubblicità ci ripete che se non mangiamo questo o quel prodotto non sappiamo nutrirci, che non si può fare a meno di quella merendina o di quella barretta di cioccolato, che non possiamo farci mancare l’ultimo prodotto culinario squisito e veloce da preparare. Imbottiti da esigenze che non avremmo mai avuto, confondiamo l’essenziale con il superfluo ed in questa confusione di idee ha facile gioco la tentazione di vedere il possesso delle cose come irrinunciabile.

In questa quaresima proviamo ad iniziare una nuova dieta prendendo la sana abitudine di nutrirci di “ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Arriveremo a Pasqua pieni, ma non sazi, del più dolce degli alimenti.

Visto il fallimento della prima tentazione Gesù viene sottoposto ad un secondo attacco che mira a fiaccare la sua fiducia in Dio: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo».

Anche questa prova sembra lontana da noi; sembra che a nessuno venga chiesto di fare una simile prova. Ma allora come dobbiamo chiamare le critiche che si ricevono quando si afferma di credere nella benevolenza del Signore? O come arginare le osservazioni disfattiste che si fanno ad un giovane che sceglie la via del sacerdozio? Come testimoniare la fiducia totale nel Padre, nei momenti difficili della vita? Gesù gli rispose «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Le nostre risposte sono molto diverse: «Questo dolore non lo merito, questa malattia non me la doveva mandare, questa disgrazia non mi doveva capitare!»

Il piano sta per sgretolarsi e il tentatore tenta un’ultima scandalosa carta: Gesù otterrà il massimo potere in cambio di un dettaglio: prostrarsi e adorare il tentatore!

E’ troppo! Gesù raccoglie le forze e risponde: «Vàttene, satana!». Basta! Il male è andato oltre ogni limite ed è tempo di concludere questa tortura.

Quanto è durata la lotta? I quaranta giorni e le quaranta notti sono stati di preparazione e mentre il corpo si indeboliva per il digiuno e la fatica, lo spirito si irrobustiva, la fiducia cresceva, la relazione con il Padre si consolidava. Quante volte Gesù avrà ripetuto la preghiera che poi ha insegnato anche ai discepoli? Quanti pensieri avrà avuto per la Madre? Quali salmi avrà ripetuto fino allo sfinimento? Egli non era solo. In quel deserto c’era un uomo orante, c’era il Figlio di Dio incarnato, il nostro Signore e Salvatore. Egli ha adorato, pregato, amato. Ha assaporato il silenzio di Dio e in quel silenzio lo ha ritrovato.

“Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano”. Penso a tanti santi e sante, non ultima madre Teresa di Calcutta che nei diari, ritrovati dopo la morte, dichiarava la sua “notte della fede”. Nonostante la tentazione che la faceva dubitare di tutto, ha continuato a servire i più poveri tra i poveri e ora in cielo gli angeli la servono.

Ora immagino Gesù che si avvia a lasciare il deserto per tornare a casa: emaciato, gli abiti ormai ridotti a stracci, i capelli e la barba incolti e pieni di sabbia, la pelle bruciata dal sole, gli occhi arrossati dal vento, ma pieni di pace e di serenità. Ha combattuto ed ha vinto.

Signore, perdona le nostre continue lamentele circa le difficoltà che abbiamo nel vivere una vita di fede coerente. Non immaginiamo neppure lontanamente la lotta che hai sostenuto e vinto. I nostri “deserti” sono finti e le nostre privazioni quaresimali non servono nemmeno a rimetterci in linea. Oggi desideriamo accogliere l’invito a vivere con sobrietà questo tempo. Per quaranta giorni e quaranta notti vogliamo stare con te, anche se restiamo nelle nostre casa. Il deserto sarà dentro di noi: ci vogliamo liberare dagli attaccamenti alle cose e alle persone, dalla presunzione di sapere come pensa Dio, dal desiderio nascosto di valere più degli altri. Vogliamo purificare il corpo, la mente, il cuore per acquisire uno sguardo nuovo che dica a tutti:«Sono libero da ogni legame perché Gesù mi ha liberato». Amen.

13.03.2011 MTM