10 APRILE 2011

V DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO A

Dal libro del profeta Ezechièle 37,12-14

Dal Salmo 129

Dalla lettera di San Paolo ai Romani 8,8-11

Dal Vangelo secondo Giovanni 11,1-45

Il brano del vangelo di Giovanni, ad una lettura sbrigativa e superficiale si presenta proprio come un articolo di cronaca dei nostri giorni. Risponde, appunto, ai canonici cinque interrogativi che ogni buon giornalista deve porsi: chi? – dove? – come? – quando? – perché?.

Ci troviamo a tre chilometri da Gerusalemme, in un piccolo villaggio chiamato Betània in casa di Marta, Maria e Lazzaro. Sono una bella famiglia, giovane e accogliente ed infatti Gesù, quando si trova di passaggio a Gerusalemme, ama fermarsi presso di loro. L’amicizia che si è creata ha portato ad una confidenza che va oltre la semplice ospitalità.

I componenti della famiglia hanno caratteri molto diversi: Marta è la responsabile della casa ed è molto irruente, Maria “era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli” e Lazzaro, l’uomo di casa, dopo una grave malattia, è morto da pochi giorni.

Mentre era malato “le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». Gesù, pur con qualche giorno di ritardo, si reca a Betania perché “amava Marta e sua sorella e Lazzaro”. Lungo la strada si accende una vivace discussione tra i discepoli su quanto fosse rischioso tornare in Giudea. A Gesù interessa poco essere prudente: deve andare perché il suo amico si è “addormentato” e ha bisogno di essere risvegliato. Naturalmente per i discepoli le espressioni di Gesù sono, come spesso accade, incomprensibili.

“Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro”. Incontrò anche una grande folla di Giudei venuti da Gerusalemme per stare vicino alle affrante sorelle. Ed ecco entrare in scena Marta che “come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”

E’ un rimprovero all’amico, è la dichiarazione di fiducia nel potere di Gesù, è lo sfogo di una persona profondamente addolorata. Forse si accorge anche di aver esagerato nell’aggredire così Gesù per cui aggiunge: «Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù comprende lo sfogo di Marta e intavola con lei un colloquio che sa di eternità: «Tuo fratello risorgerà». Marta accoglie questa verità conoscendo la promessa della resurrezione nell’ultimo giorno, ma Gesù vuole rivelarle una verità che supera ogni altra, che è alla base della fede, della nostra fede; le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?».

Stacchiamo, per un attimo, gli occhi dalla scena che si svolge alle porte di Betania e ascoltiamo l’interrogativo di Gesù come rivolto a noi stessi, qui ed ora: crediamo profondamente che Gesù è la resurrezione e la vita e che vivremo in eterno? Questa verità sembra riguardi solo le persone che stanno per morire: è come se in quei pochi minuti si debba decidere ogni cosa, ma cosa? Una eternità di vita va iniziata su questa terra: qui dobbiamo sapere che la nostra esistenza non finisce, che abbiamo da vivere “ancora e per sempre” con Colui che abbiamo sempre cercato, che il nostro cuore troverà pace solo in Lui. Non esiste una tessera raccogli – punti per l’aldilà che ci consentirà poi di scegliere il premio: c’è una Persona, Gesù, che dobbiamo cercare ed incontrare già ora, che dobbiamo conoscere e con il quale dobbiamo intessere una relazione di amicizia, di confidenza, di fiducia, di amore. Betania ci insegna questo: essere familiari con Gesù.

Cosa risponde Marta alla domanda di Gesù? Ella fa un atto di fede profondo e totale, degno dei più grandi apostoli e santi: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Ecco che l’appassionata Marta si è sfogata ed ha dichiarato apertamente la sua fede. Ora non ha altro da dire per cui va a chiamare Maria che è rimasta a casa: «Il Maestro è qui e ti chiama». Maria vola e va incontro a Gesù, seguita da una folla di gente che era venuta a consolarla. Appena lo incontra si butta per terra piangente e tra le lacrime gli dice: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!»

Piangono tutti al vedere il suo dolore al punto che anche “Gesù scoppiò in pianto”. Davanti alle lacrime di Gesù si alza un mormorio: critiche e giudizi sono sempre pronti e non si fermano nemmeno davanti ad una manifestazione di così grande dolore! Si dirigono quindi tutti al sepolcro che era una grotta scavata nel tufo, chiusa da un masso.

Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Sì, bisogna togliere la pietra dai “nostri” sepolcri, bisogna aprirsi, far entrare la luce. E’ necessario far rotolare via dal nostro cuore il macigno che impedisce di relazionarci con gli altri, che ci toglie il respiro dell’amicizia, che ci inaridisce, che ci fa imputridire.

Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Quanti giorni lasciamo passare prima di “togliere la pietra” del nostro risentimento, del nostro giudizio, delle nostre divisioni verso l’altro? Se passa troppo tempo inizieremo anche noi a mandare cattivo odore: di insofferenza, di rancore, di sdegno, se non di odio.

Ogni giorno Gesù continua a ripeterci: «Togliete la pietra!».

Davanti al sepolcro aperto Egli eleva un ringraziamento al Padre, prima ancora di vedere il frutto della preghiera che aveva fatto nel segreto del suo cuore per l’amico Lazzaro: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto…».

Non c’è paragone tra la preghiera di Gesù e le nostre biascicate orazioni! In questo versetto c’è la ricetta per pregare bene: profonda relazione d’amore, di fiducia, di abbandono. L’eterna condizione del Padre è di essere in ascolto. Il suo cuore arde di sentire la nostra voce, ma troppo spesso restiamo muti e laddove chiediamo lo facciamo speranza: non crediamo di essere esauditi. Altro che lode e ringraziamento! Le nostre labbra restano chiuse come il nostro cuore.

Nella valle della morte, dove ci sono i sepolcri, ora risuona forte la voce di Gesù: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario”. Come non obbedire a questo ordine di “uscire” fuori dalla prigionia della morte, dal buio della tomba? Lazzaro torna a vivere in virtù della preghiera potente di Gesù, ma per tornare alla quotidianità ha bisogno dell’aiuto degli altri ai quali Gesù stesso dice: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».

Signore ti ringraziamo per l’amicizia che hai avuto con Marta, Maria e Lazzaro, modello della relazione che desideri avere con ognuno di noi; grazie per la vita che hai ridonato a Lazzaro; grazie per le tue lacrime. Troppo spesso rimaniamo prigionieri dei nostri sepolcri: abbiamo bisogno di togliere la pietra e di sentire la tua voce che ci invita ad uscire fuori. Signore Gesù, intorno a noi, molti cuori sono bendati e tanti volti sono nascosti dal velo dell’incomunicabilità: ti preghiamo donaci la disponibilità ad accogliere il tuo invito a liberare e a lasciare andare coloro che sono tornati a vivere per la tua Parola. Amen.

CB 10.04.2011 MTM