26 giugno 2011

Santissimo Corpo e Sangue di Gesù (Anno A)

Dal libro del Deuteronòmio 8,2-3.14-16
Dal Salmo
147

Dalla prima lettera di San Paolo ai Corìnzi 10,16-17

Dal Vangelo secondo Giovanni 6,51-58

Il brano della prima lettura, tratta dal libro del Deuteronomio inizia così: «Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere…».

“Ricorda” è il verbo che campeggia in tutto il Vecchio Testamento ed è al centro del Nuovo. Per il popolo Ebreo, legato indissolubilmente all’unico Dio, ogni avvenimento della sua tormentata storia è volontà di Dio: «Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri» e la luminosa colonna di fuoco, la promessa di una terra e di un liberatore…

Il popolo ha molto da ricordare e di padre in figlio tramanda ciò che Dio ha compiuto e come sia stato fedele al suo patto. Fare memoria è un indicatore di civiltà: solo chi ricorda può sperare di avere un futuro. Anche noi siamo chiamati a ricordare.

In questi giorni, nella tenda, davanti al Santissimo, questo è ciò che ognuno di noi dovrebbe fare: ricordare, fare memoria della propria storia. Cosa rischiamo di trovare nell’andare indietro nella nostra storia personale? Probabilmente gli stessi tradimenti o errori o peccati del popolo ebreo.

La domanda che dobbiamo porre alla base di ogni meditazione è: – Ho riconosciuto la presenza di Dio negli avvenimenti della mia vita? Ho capito che, pur in mezzo ai fatti confusi, piacevoli o spiacevoli della mia esistenza, il Signore mi è stato vicino?

L’obiezione più facile, se non più comoda è: «Non ho le visioni! Il Signore non viene a parlare con me! Io non l’ho mai visto!».

Dio conosce le nostre fragilità e così come ha provveduto per il popolo Ebreo, ha provvisto noi per ogni necessità: ha mandato suo Figlio che si è fatto “Manna” eterna, Cibo prezioso e insostituibile, Nutrimento perenne e incorruttibile, Vino che disseta, Parola di vita, Eucarestia, Comunione. Possiamo perciò con fiducia attraversare i deserti della vita senza alcun timore: abbiamo tutto, ma spesso scegliamo di farne a meno e ci perdiamo dietro alle illusioni mentre Gesù vuole che restiamo con Lui e in Lui.

Oggi il vangelo di Giovanni ci ricorda una delle sue più pressanti raccomandazioni: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui». Gesù si trova a Cafarnao e la discussione è molto vivace: gli interlocutori gli pongono continue obiezioni, ma la risposta è: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna”. Non ci sono alternative.

Davanti a questa verità rimaniamo senza parole: in quel pezzetto di pane azzimo consacrato c’è l’eternità. Distribuita in ogni angolo della terra, l’ostia, pur fragilissima, è promessa di un futuro senza fine ed è caparra di ciò che il cuore dell’uomo desidera: stare con Dio nella felicità eterna.

Ogni giorno, nella celebrazione eucaristica si compie il miracolo più grande, più misterioso, più necessario per noi. Non sempre riconosciamo con gratitudine e stupore ciò che avviene tra le mani del sacerdote sull’altare dove il Signore, nascosto nell’ostia, scende per raggiungere il cuore di ogni uomo.

Il tabernacolo, con il Santissimo Sacramento, “silenzioso Dio” come dice la strofa di un noto canto, rimane un luogo privilegiato di preghiera; che la porticina sia aperta o chiusa, che l’ostia sia esposta o no, le persone sanno che lì c’è Dio, nascosto in un pezzo di pane.

Donaci Signore di aver fame e sete di te, un bisogno incontenibile della vita che sei venuto a portarci. Perdonaci perché siamo troppo sazi di ogni cosa, anche di noi stessi, al punto che ci reputiamo capaci di trovare sempre ogni soluzione per soddisfare i nostri bisogni. Crediamo di dover soddisfare il corpo, mentre facciamo fatica a percepire i segnali di fame e di sete della nostra anima. Davanti all’umiltà di una particola eucaristica ci sentiamo piccoli, incapaci di parlare, poveri, bisognosi. Apri la nostra mente e il nostro cuore ad un’adorazione profonda, fatta di scoperta dell’immensità di questo tuo dono, di accettazione di un nutrimento così semplice, di riconoscenza e di lode. Ogni volta che ci avviciniamo alla mensa della nostra salvezza donaci il santo timore, il raccoglimento necessario per vivere l’incontro in umiltà e il desiderio di rimanere in te. Dopo, Gesù, saremo capaci di diventare a nostra volta pane spezzato per gli altri. Amen.

CB 26.06.2011 MTM