02 OTTOBRE 2011

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Dal libro del profeta Isaia 5,1-7

Dal Salmo 79

Dalla lettera di S. Paolo ai Filippesi 4,6-9
Dal Vangelo secondo Matteo 21,33-43

“Voglio cantare per il mio diletto, il mio cantico d’amore per la sua vigna”. La liturgia della Parola di questa splendida domenica di ottobre si apre con un cantico d’amore per una vigna. Il profeta fa una bellissima descrizione dell’opera di un vignaiolo attento, esperto, appassionato del suo lavoro; narra le cure e le attenzioni che ha avuto per la sua vigna. Parla dell’attesa, della speranza, della delusione, dello sconcerto che prova: la vigna non ha dato uva succulenta e dolce, “essa produsse, invece, acini acerbi” eppure “vi aveva piantato viti pregiate”.

Povero vignaiolo! Non sa cosa pensare tanto che si domanda: «Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?». Se il Vignaiolo è Dio quelle “viti pregiate” siamo noi, vitigni preziosi, particolari. Egli si prende cura di noi affinché fruttifichiamo: ci posiziona “sopra un fertile colle”, dissoda il terreno, lo irriga e protegge i filari con una siepe. Il vignaiolo ha i gesti di un padre buono, attento, premuroso.

Mi chiedo se ho capito che sono una vite pregiata, come lo è anche chi sta accanto a me, ogni uomo è una vite pregiata per Dio.

In mezzo al frastuono dei nostri giorni o nei silenzi delle nostre angosce, abbiamo mai percepito il cantico d’amore di Dio per noi? Lo sguardo innocente di un bimbo, la carezza di un vecchio, il profumo della terra dopo la pioggia, il crepitare del fuoco, la freschezza della brezza serale, il luccichio di un tramonto, il canto di un uccellino, il fiore che sboccia controtempo, la gratuità di un bicchiere di acqua fresca, il saluto di una persona sconosciuta, un pezzo di pane caldo di forno, l’abbraccio di un amico, la pace che, inaspettatamente, scende nel cuore … tutte strofe di un’unica canzone d’amore. Mentre questo canto di Dio risuona all’infinito noi ci inaspriamo, viviamo rapporti conflittuali, ci intristiamo. Potremmo produrre uva scelta e invece diamo acini acerbi, aspri.

Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?”. Già, che cosa deve fare Dio per noi, per me, che non abbia già fatto? Ci ha posto in alto, togliendoci dal fango della palude del peccato, ha levato i sassi che ci inaridivano, ha costruito una torre per raccogliere l’acqua piovana per irrigare le dure zolle del nostro cuore, ha scavato un tino per conservare con cura ogni nostro frutto. Dio ha “perso” tempo con noi, prendendosi cura di ognuno e non ce ne siamo accorti anzi l’abbiamo ripagato con l’asprezza dei nostri piccoli e infruttuosi acini!

Gesù conosceva bene questo brano di Isaia e trovandosi nel tempio, davanti ai maestri e ai sacerdoti, lo usa per narrare la parabola dei cattivi contadini, di coloro ai quali il padrone aveva affidato il delicato compito di curare la sua preziosa vigna. Giunto il tempo della vendemmia, I contadini, per ben due volte, bastonano e uccidono i servi che il padrone aveva inviato per ritirare il raccolto. Perché? Forse il raccolto era stato scarso? Oppure perché non volevano far vedere che, avendo lavorato male, la vigna era stata distrutta mentre erano pagati per prendersene cura. Essi non amavano la vigna eppure, in cuor loro, progettavano di impossessarsene. Quando venne il figlio del padrone, infatti lo uccisero nella speranza di averla in eredità. Che scempio aver disprezzato la fiducia del padrone, la vita dei servi e quella del figlio stesso!

“Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?”. Ecco la seconda domanda di questa domenica, molto simile a quella della prima lettura. Dobbiamo ricordare che questo insegnamento viene fatto nella sinagoga e non è difficile capire chi è il padrone, chi è la vigna e soprattutto chi è il figlio che viene ucciso. E’ una profezia!

A questo punto Gesù pone ai presenti un interrogativo: “Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi?” Chissà cosa avranno pensato i sacerdoti che ascoltavano: non era mai successo che gli scarti di una costruzione diventassero pietre angolari! Ma quando mai? Gli scarti vanno buttati, neppure riciclati perché si perde tempo.

Eppure la meraviglia c’è, soprattutto da parte di coloro che, pur sentendosi scarti, vengono chiamati alla costruzione del Regno. C’è posto per tutti in questa grande opera del Signore: egli accetta operai volenterosi provenienti da ogni parte, anche coloro che, fino ad oggi, non hanno frequentato la chiesa, chi è vissuto lontano dai sagrati, chi non è molto osservante, perfino … extracomunitari, poveri e senza tetto. Unico requisito: produrre frutti.

Signore, abbi pietà di noi. Forse perché andiamo in chiesa ci siamo creduti buoni e ci siamo convinti di avere l’esclusiva nella costruzione del tuo Regno, mentre la tua Parola viene a sconvolgerci. Da noi, tua vigna, ti aspetti acini dolci e trovi frutti acri, cerchi passione e trovi freddezza, cerchi lavoratori impegnati e trovi contadini omicidi. Cosa dobbiamo fare? Aiutaci a scoprire l’amore del Padre. Liberaci dalla tentazione di sentirci a posto come pietre già levigate e ricordaci che tu ti servi degli scarti per la costruzione del Regno. Solo quando “quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode” sarà oggetto dei nostri pensieri allora saremo capaci di udire il cantico d’amore di Dio per noi. Amen.

CB 02.10.2011 MTM