13 NOVEMBRE 2011

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)

Dal libro dei Proverbi 31,10-13.19-20.30-31

Dal Salmo 127

Dalla prima lettera di S. Paolo ai Tessalonicési 5,1-6

Dal Vangelo secondo Matteo 25,14-30

Una volta un professore di matematica portò in classe un ditale da sarta, un bicchiere e un vaso di vetro per i fiori. Poggiò i tre oggetti sulla cattedra e li riempì di acqua fino all’orlo. Poi ci fece una domanda: quale dei tre può dirsi insoddisfatto per la quantità di acqua che contiene?

Essendo tutti e tre colmi fino all’orlo nessuno poteva lamentarsi: i pratica ci rendemmo conto che ciascuno conteneva la giusta quantità di acqua, secondo la rispettiva capacità.

Anche la parabola di oggi parla di capacità, ma ci spiazza in quanto un padrone in partenza vuole lasciare i suoi beni ai servi “riempiendoli” oltre ogni misura.

A quanto ammontavano le ricchezze? Tenendo conto che un talento era una moneta equivalente a circa seimila denari (ai tempi di Gesù un solo denaro rappresentava la paga quotidiana di un operaio) e facendo qualche semplice calcolo, il padrone consegnò ai servi una vera fortuna paragonabile a circa 2 milioni e 720 mila euro così ripartiti: 1.700.000,00 al primo, 680.000,00 al secondo, 340.000,00 al terzo. Altro che spiccioli!

Chissà come si saranno sentiti i servi che avevano sempre dovuto sgobbare per un tozzo di pane! Ritrovarsi tra le mani un simile quantitativo di denaro dà le vertigini anche al giorno d’oggi, con i tempi che corrono.

Nella Bibbia c’è un avverbio di tempo “subito” che è spesso presente nei racconti di grandi avvenimenti: da quello di Maria di Nazaret che si mise in cammino per andare ad aiutare l’anziana cugina Elisabetta a quello della chiamata di Simone e Andrea che lasciarono immediatamente la barca e le reti per seguire Gesù a quello dei due servi della parabola odierna: “Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque”.

Sono autentici slanci di amore, di passione che non si possono contenere. I due servi si mettono senza indugio a trafficare l’enorme ricchezza ricevuta e lo fanno perché vogliono bene al padrone sapendo che anch’egli li ama. Intercorre tra loro una grande relazione di fiducia, di rispetto, di stima. Sentono l’appartenenza in maniera amicale e non succube; avvertono tutta l’aspettativa del padrone e provano a soddisfarla.

Al terzo servo, invece, tutto questo manca: ha ricevuto anche lui la sua parte di ricchezza, ma non gli appartiene, anzi, per non correre rischi, la sotterra così potrà restituirla intatta al padrone.

La relazione profonda dà la misura dell’appartenenza: i servi che hanno fatto fruttificare il dono, fino a farlo raddoppiare come un lievito nella pasta, ricevono non solo molto più di quello che hanno guadagnato, ma e soprattutto l’abbraccio riconoscente e gioioso del padrone che li chiama buoni e fedeli.

Il terzo servo presenta solo la sua paura, la sua miopia nel comprendere i gesti del padrone: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura …”.

Chi siamo noi? A quale tipologia di servitori apparteniamo? Siamo sereni e fiduciosi e perciò buoni e fedeli oppure paurosi e chiusi al punto di meritare di essere chiamati “malvagi e pigri”?

Chiaramente l’insegnamento vuole condurci fuori dai nostri angusti calcoli, dalle nostre ristrette vedute: il Signore ci affida tutti i suoi beni e sa che abbiamo la capacità di metterli a frutto, di utilizzarli per il bene. Quali beni? La Parola, l’Eucarestia, la Comunità dei fedeli, i sacramenti, i doni dello Spirito Santo …

Quali beni ho investito, fatto raddoppiare? Cosa restituirò al Signore quando “dopo molto tempo” vorrà regolare i conti con me?

Abbiamo una sola certezza: il Signore conosce le nostre capacità e ci affiderà impegni a misura delle nostre forze. A noi tocca cercare di avere una relazione stabile con lui, che ci permetta di conoscerlo e di amarlo ogni giorno di più. Poi se vorrà affidarci cinque, o due o anche un solo talento, saremo soddisfatti come il piccolo ditale pieno d’acqua sulla cattedra del professore di matematica.

Signore Gesù che ti sei spogliato di tutto per darlo a noi tuoi servi, perdonaci se finora abbiamo nascosto la ricchezza che hai posto nelle nostre mani. Abbiamo avuto paura di agire come tu ci hai insegnato, abbiamo chiuso nei nostri ritualismi la bellezza dell’essere con te, abbiamo offuscato lo splendore dei tuoi doni. Oggi la tua Parola viene a scuoterci, a ricordarci che tu hai fiducia in noi, che ci conosci nel profondo. Non ti frenano le nostre fragilità e nemmeno i nostri peccati, tu continui a mettere nelle nostre mani le tue ricchezze. Ti ringraziamo e ti benediciamo per l’amore che hai per noi. Sostienici nel cammino perché desideriamo portare frutti in abbondanza: vogliamo essere lievito che solleva la pasta, seme che feconda la terra, vino nuovo che ribolle nei tini, rugiada che disseta al mattino. Amen.

CB 13.11.2011 MTM