Sono spoglie le nostre chiese, e svuotate di ogni bellezza, di ogni (sacra e impudica) vanità. Dio è morto, appeso, osteso, innalzato, donato. Non abbiamo parole, solo la voglia di buttarci in ginocchio e di cantare: Dio grande, Dio forte, Dio immortale, abbi pietà di noi! Mille volte abbiamo immaginato quel giorno di aprile. Mille volte i pittori, credenti e atei, devoti o blasfemi, hanno cercato di tracciare sulla tela quel buio. Mille volte i compositori hanno accarezzato i tasti dell’organo per dire il silenzio e il dolore di Dio. Mille volte i registi hanno cercato di dare immagini che non fossero oscene, perché la morte di Dio è solo e semplicemente oscena. Mille e mille volte. E ancora siamo qui, seduti, meditabondi, attoniti, turbati nel profondo, strappati fino alle radici. Perché Dio muore. Davvero, senza lieto fine, senza claque, in compagnia solo di qualche amico rimasto che non si vergogna di un uomo sfigurato e nudo che scroscia sangue e disperazione. Ecco il nostro Dio, amici, il Dio appeso, colui che ha amato fino a morirne e che dice a noi, che amiamo spesso per averne un tornaconto, che si può amare fino a questo punto. Immenso Dio che ti doni, infinito Dio che offendiamo con le nostre piccinerie e le nostre stridule e impure devozioni! Infinito tutto che ti lasci spezzare, travolgere, insultare, sconvolgere. Te proclamiamo Dio, te adoriamo, te seguiamo, il tuo amore desideriamo imitare. Daccene la forza.