09 agosto 2009
XIX Domenica  T. O. (Anno B)

Dal 1° libro dei Re 19,4-8
Dal salmo 33
Dalla lettera di S. Paolo agli Efesini 4,30-5,2
Dal Vangelo secondo Giovanni 6,41-51

Il brano tratto dal 1° libro dei Re racconta della stanchezza di Elia; egli si rende conto di aver fallito la missione che gli era stata affidata e avverte un profondo senso di desolazione, una sconfitta totale che gli fa desiderare di morire. Paragonandosi a coloro che lo hanno preceduto, si sente così tanto inadeguato da arrendersi. Turbato da questi pensieri, si allontana in un luogo solitario, si mette all’ombra di un cespuglio di ginestra e si addormenta.
Il senso di sconfitta che assale Elia è un sentimento condivisibile: ha fatto tanto, si è impegnato, ha ricominciato ogni giorno con nuova lena, ma i risultati sono stati sconfortanti.
Sembra di vedere le mamme e i papà che ogni mattina iniziano di nuovo a fare il loro mestiere di genitori, pur sapendo che la maggior parte delle loro parole resteranno inascoltate e, nonostante tutto. non si stancano di ricominciare, giorno dopo giorno, anche se talvolta vengono assaliti da un senso di frustrazione e di fallimento. Stesso discorso può valere per i sacerdoti  impegnati  nella crescita spirituale e umana della comunità parrocchiale: le delusioni e lo scoramento sono dietro l’angolo e viene voglia di deporre le armi, di “sedersi sotto una ginestra”.
Ma ecco che un angelo toccò  Elia e gli disse: «Alzati, mangia!». Egli si svegliò trovò una focaccia e dell’acqua, si ristorò e tornò a dormire, ma l’angelo lo scosse per la seconda volta e gli disse: «Alzati e mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve e, grazie a quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di  Dio, l’Oreb.
Quale insegnamento per noi? Quando siamo chiamati a compiti che sembrano più grandi di noi non possiamo dimenticare che il Signore conosce bene le nostre capacità e si preoccupa se il cammino diventa troppo faticoso per noi. Egli dà per nutrimento un Pane che ci fa alzare da sotto il cespuglio di ginestra dove forse vorremmo rimanere, che ci ristora dalla stanchezza, che ci sostiene nel cammino.
Certo voler vivere una profonda vita di fede senza il nutrimento di quel Pane si corre il rischio, come successe ad Elia, di non farcela e di urlare a Dio, dal deserto della nostra vita :«Ora basta, Signore!». Il suo grido è, infatti, anche il nostro ogni qualvolta ci lasciamo sopraffare dalla sfiducia e dallo sconforto.
Eppure il Signore ci cerca, viene a  scovarci anche quando siamo rannicchiati sotto il cespuglio dei nostri confusi sentimenti, offre il suo sostegno per farci arrivare al monte Oreb, luogo dell’incontro con Colui che placa ogni fame e ogni sete, che risolleva dalle fatiche, che vince le nostre tristezze. Così si è presentato Gesù lungo le strade della Galilea ma  “ i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: “Io sono il pane disceso dal cielo”. E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?”.
Ecco di nuovo i giudizi e i calcoli, l’attenzione alle origini e alle parentele, le mormorazioni. Di fronte alle affermazioni di Gesù la gente risponde manifestando tutta la sua superficialità. Egli vuole elevare il discorso, ma la folla mette  picchetti ben piantati nell’ufficio “anagrafe”: figlio di…, nato da…, parente di…
La meschinità o forse una certa necessità di catalogare tutto e tutti ci fa perdere il sapore di ciò che Gesù è venuto a dire; le sue parole erano incomprensibili per i Giudei e forse lo sono anche per noi quando deleghiamo ad altri l’ascolto e la riflessione, quando non accogliamo la Parola di Dio quale essa è  parola di vita.
Nel brano del vangelo Gesù fa alcune affermazioni fondamentali: «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato»; «In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna»; «Io sono il pane della vita»; «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno».
Lottiamo tanto per la vita e ci affanniamo per stare meglio sia per quanto riguarda gli affetti che per la tranquillità finanziaria, (prova ne è, in queste settimane, l’accanimento per le vincite milionarie al gioco!) ma forse non mettiamo lo stesso impegno per  conquistare la vita eterna.
Il segreto sta nel  farsi “imitatori di Dio”. S. Paolo, scrivendo ai cristiani di Efeso, fa un bell’elenco dei comportamenti da assumere per imitare Dio: “Nessuna parola cattiva esca dalla vostra bocca, ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano. Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

Signore Gesù, sappiamo che il battesimo ci ha resi figli di Dio, ma la nostra somiglianza al Padre stenta ad essere evidente. Abbiamo spesso rinunciato a nutrirci del Pane vivo e ad abbeverarci alla fonte della Parola e siamo rimasti addormentati all’ombra del cespuglio. Perdonaci. Vogliamo svegliarci dal torpore e riprendere il cammino; come Elia, vogliamo salire l’Oreb per incontrare Dio. Amen.

CB 09.08.09 MTM