7 febbraio 2010

V DOMENICA DEL T. O. (ANNO C)

Dal libro del profeta Isaia 6,1-2.3-8

Dal Salmo 137

Dalla 1ª lettera di S. Paolo ai Corinti 15,1-11

Dal Vangelo secondo Luca 5,1-11

Tre scene bellissime appaiono ai nostri occhi mentre ascoltiamo i brani della liturgia della Parola di questa domenica.

La prima si svolge in un tempio davanti ad “un trono alto ed elevato” sul quale è assiso il Signore. Intorno si levano volute di incensi profumati e uno stuolo di serafini proclama: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria»”.

Come stare davanti a tanta santità? Avrebbero tremato, oltre agli stipiti delle porte, certamente anche le nostre ginocchia. Il profeta racconta che si sentì annichilito e perso sotto il peso dei suoi peccati; avverte tutta l’impurità della sue labbra perché “i suoi occhi hanno visto il re, il Signore”. Isaia però non resta piegato sulle sue colpe: uno dei serafini, con un carbone ardente, gli tocca la bocca e lo purifica dai peccati.

Perché questo gesto? E’ il segno di una bruciatura che disinfetta e allo stesso tempo guarisce, rimargina, ripristina la funzione di quella bocca al punto che, quando sente la voce del Signore che dice: «Chi manderò e chi andrà per noi?», può rispondere: «Eccomi, manda me!».

Esperienza straordinaria di Dio e conseguente esperienza di conversione. Isaia non rimane a contemplare la gloria di Dio, ma, pieno di così tanta bellezza, può ardire di rispondere all’interrogativo del Signore che dice: «Chi manderò e chi andrà per noi?», «Eccomi, manda me».

Ed io? E noi? Abbiamo fatto esperienza di Dio? Ci siamo messi nella condizione di vivere un tempo tutto dedicato a Dio? Abbiamo preso coscienza che le nostre bocche, fatte per benedire, troppo spesso sono piene di parole inutili, se non cattive? Forse anche noi abbiamo bisogno di un serafino per riacquistare l’uso della bocca e poter dire a Dio: «Serviti di me!».

La seconda scena si svolge in una casa di Corinto dove si riuniscono i cristiani che si sono convertiti. C’è Paolo in mezzo a loro che ribadisce alcune cose fondamentali circa i contenuti della nuova fede che hanno abbracciato. Forse qualcuno ha dei dubbi, si sente poco sicuro. L’apostolo sottolinea alcune cose fondamentali: “Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”.

Questa è la verità, questa è la fede dei Corinti ed è anche la nostra fede. Poi Paolo dice ancora: “Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato.”

Trasmettere quello che ha ricevuto: questo è il compito di Paolo e di ogni credente, quindi anche nostro. Lo ripete più volte e ne è profondamente convinto tanto che viaggerà molto per portare la buona notizia di Gesù risorto al maggior numero di persone, affinché la grazia che Dio gli aveva fatto nel chiamarlo non fosse inutile.

Che differenza tra Paolo e noi! Lui ricco del dinamismo proprio dello Spirito, noi statici e forse appesantiti da dubbi mai sciolti.

La terza scena si svolge sulla riva del lago di Gennezaret. C’è una folla che fa ressa per ascoltare la parola di Dio, tanto che Gesù è costretto a chiedere, ad un pescatore che stava mettendo a posto le reti, di salire sulla sua barca, come su un pulpito, per poter continuare ad insegnare. Tutti ascoltano, anche il padrone della barca e i suoi compagni. Alla fine, quasi per sdebitarsi dell’ospitalità ricevuta, Gesù gli dice: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Il povero pescatore confessa che la nottata di pesca è stata una perdita di tempo perché le reti sono rimaste vuote, “ma sulla tua parola getterò le reti”.

Perché Simone cede alla richiesta di Gesù, quasi assurda perché non è del mestiere? Perché lui, che è un esperto pescatore, stanco per la nottata infruttuosa, decide di calare le reti?

Simone è rimasto colpito dalle parole di Gesù e sente che può fidarsi di quell’ospite inatteso che è salito sulla sua barca. Insieme a tanta gente ha ascoltato Gesù; oltretutto lui ha avuto un posto in prima fila e non ha perso una sola parola. Ha capito che non sono chiacchiere, ma fatti concreti come concreta si rivelerà la pesca: “…presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano”.

Davanti ad un tale risultato la reazione di Simone e dei suoi soci, Giacomo e Giovanni, non può che essere di stupore. Simone però fa qualcosa in più: “si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore»”.

Come Isaia davanti al trono dell’Altissimo, così anche Simone davanti a Gesù sente tutto il peso del suo peccato; scopre cioè che, dentro di sé, c’è altro. Gesù lo invita a non tener conto del tempo perso nella notte, a non sfiduciarsi per i suoi fallimenti, anzi proprio per questo suo sentimento di inadeguatezza gli dice: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

Percorsi diversi eppure molto simili in Isaia, nei neofiti di Corinto, in Simone. Il Signore non si lascia scoraggiare dai nostri fallimenti quanto piuttosto si lascia commuovere dalle nostre dichiarazioni di resa e dalla nostra disponibilità a metterci alla sua sequela.

Signore Gesù perdonaci quando pensiamo che Tu non ti accorgi delle difficoltà che sopportiamo nella vita di tutti i giorni, quando sentiamo che non vale la pena di tentare di nuovo, di ricominciare, che è tutto inutile. Abbi misericordia della nostra sfiducia e del nostro sconforto. Ti preghiamo, vieni, “sali sulla barca” della nostra vita e parlaci, insegnaci che dopo una notte infruttuosa si possono di nuovo gettare le reti, se Tu lo comandi. Signore vieni! Abbiamo bisogno di purificare i nostri cuori, le nostre menti le nostre labbra per poter rispondere alla tua chiamata, pieni di stupore e con slancio: «Eccomi, manda me tra coloro che non ti conoscono, nelle aule di catechismo, tra gli adolescenti inquieti, tra i giovani disillusi, tra coloro che lottano per il lavoro, tra quelli che vivono la sofferenza del corpo o dell’anima, tra i carcerati e tra i bisognosi, tra gli ultimi. Sulla Tua Parola noi getteremo le reti, perché crediamo in Te, Signore Gesù». Amen.

CB 07.02.2010 MTM