14 marzo 2010
IV Domenica di Quaresima – Laetare (Anno C)
Dal libro di Giosuè 5,9.10-12
Dal salmo 53
Dalla 2^ lettera di S. Paolo ai Corinti 5,17-21
Dal Vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32
“In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo”. L’inizio del brano evangelico di questa IV domenica di quaresima è come un manifesto: dice che erano i peccatori ad avvicinarsi a Gesù. Per la mentalità e le varie prescrizioni che c’erano in quel tempo in Israele le discriminazioni impedivano a molti una normale vita di relazione: I malati,
I peccatori, i disabili, le donne in genere, quelle che avevano partorito, le vedove, gli uomini che facevano alcuni lavori particolari, venivano considerati impuri e perciò dovevano rimanere “fuori” dalla vita sociale e spirituale. Erano come gli appestati: era vietato severamente avere alcun tipo di rapporto con essi sia fisico che verbale.
Gesù attira proprio queste categorie di “poveri”, li accoglie, rivolge loro la parola, li consola, li tocca, li guarisce. Non ha paura di contaminarsi, anzi, più volte, dichiara apertamente che Dio è dalla parte del povero e dell’umile.
“I farisei e gli scribi mormoravano: -Costui riceve i peccatori e mangia con loro-“. Come poteva essere altrimenti? Era una cosa veramente scandalosa e non solo allora! Abbiamo mai accolto in casa nostra un povero barbone o siamo mai andati a mangiare nella casa di qualche persona dalla dubbia moralità? Forse le critiche che gli scribi e i farisei fanno a Gesù ci appartengono: mai sporcarsi le mani, mai perdere l’immagine di persona per bene che non si confonde con i peccatori!
Gesù, vedendo questi atteggiamenti, con grande pazienza, inizia un racconto molto toccante e reale, nella speranza di riuscire a spiegare, ancora una volta, di quale amore ci ama Dio Padre. E’ la storia di una famiglia, un padre con due figli, e come in tutte le famiglie ci sono le discussioni. All’ennesimo scontro, il figlio minore (e chi altrimenti?) decide di prendere tutto ciò che gli spetta e di andare a cercare altrove la felicità che desidera. La casa paterna gli sta stretta e pensa che andando via, lontano, troverà l’appagamento delle sue ansie e la realizzazione dei suoi progetti. Sappiamo già che non andò come aveva sperato:abbandonando la casa del padre egli inizia una specie di discesa rovinosa verso un baratro morale, spirituale, affettivo che sembra non avere fondo. Poi un giorno, mentre si litiga il cibo con i maiali, rotolandosi nel letame puzzolente di una stalla, capisce di aver toccato il punto più basso della sua esistenza.
“Allora rientrò in se stesso”. Il pensiero che i servi, in casa del padre, potevano mangiare lo fece rinsavire: “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni”.
Bellissima la scene che segue: ci mostra il padre che è di guardia sulla parte alta della casa, come ormai fa da tempo, ogni giorno, da quando quel figlio è andato via.
“Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. E’ il padre che è commosso, che corre, che si getta al collo del figlio! Lo scapestrato cerca di balbettare una scusa, ma il padre non ascolta: ha il cuore colmo di gioia. Aveva pensato di aver perso per sempre questo figlio tanto amato ed ora è di nuovo a casa tra le sue braccia! Al padre non interessa nient’altro. Rivoleva quel figlio; ora è a casa e vuole fare una grande festa. Ordina ai servi di rivestirlo, di ingioiellarlo, di preparare un grande banchetto con musiche e danze perché il tempo della tristezza, del lutto è finito. La casa si anima di nuovo, profumi di ogni cibo, amici che vengono a condividere la gioia di un figlio ritrovato.
“Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze”. Cosa sarà mai successo? Un servo si affretta ad aggiornarlo: « È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo».
La versione data dal servo è tendenziosa perché fa apparire l’anziano genitore come padre solo di quel figlio. La conseguente reazione del primogenito fu che “Egli si indignò, e non voleva entrare”.
“Il padre allora uscì a pregarlo”. Povero padre che si trova tra due fuochi: ha appena riavuto il figlio che credeva perduto ed ora è l’altro che fa problemi. Solo l’amore che ha per entrambi i figli lo porta a pregare quest’ultimo di entrare, di gioire perché la famiglia si è ricomposta. Il risentimento del figlio viene stemperato infatti dalle rassicuranti parole del genitore: « …tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
Quale ruolo possiamo ricoprire in questa parabola? Chi siamo? Il secondogenito che si allontana dalla Casa e dall’Amore del Padre per cercare altri amori ed altre libertà, ma che poi, alzandosi dal fango in cui era caduto, accetta e gode dell’abbraccio misericordioso del genitore o il primogenito che ha difficoltà ad accogliere il fratello e rivendica la sua porzione di beni più che d’amore? E perché non essere come il Padre, capaci di perdono?
Chi siamo veramente? Siamo figli di un Padre buono e misericordioso che ci viene incontro sempre, che patisce la nostra lontananza e che fa grande festa quando noi torniamo. Egli non vuole le nostre meschine giustificazioni, vuole noi, così come siamo: scapestrati o indignati, sporchi del letame nel quale siamo caduti o stanchi e pieni di rancori, proprio come i due fratelli.
Quell’abbraccio ci rigenera, ci fa creature nuove. S. Paolo nella 2^ lettera alla comunità di Corinto spiega, in maniera completa e semplice la bellezza di questa accoglienza del Padre per noi: “È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione”.
Signore Gesù vogliamo essere in te, vogliamo abbandonare tutto le cianfrusaglie che hanno appesantito la nostra anima, i sentimenti che hanno intristito il nostro cuore, i cattivi giudizi che hanno lacerato i nostri rapporti con le persone. In questo tempo, Insieme con la natura, vogliamo rinascere, rinnovarci, rifiorire. Solo per tuo merito possiamo godere della riconciliazione con il Padre. Metti nei nostri cuori una struggente nostalgia di quell’ abbraccio e un forte desiderio di abbandonare le nostre situazioni di peccato e, attraverso il servizio dei tuoi ministri, di godere della grazia della riconciliazione. Tutto è pronto per fare festa, manchiamo solo noi, i festeggiati.
Oggi, con il tuo sostegno, ci “alzeremo”… Amen.
CB 14.03.2010 MTM