8 Agosto 2010

XIX domenica del T O (anno C)

Dal libro della Sapienza 18,6-9

Dal salmo 32

Dalla lettera agli Ebrei 11,1-2.8-19

Dal vangelo secondo Luca 12,32-48

La Parola del Vangelo di questa domenica risuona come un campanello: è la sveglia per tutti noi che talvolta ci lasciamo incantare da mete o comportamenti non sempre coerenti con il nostro credo.

Siamo chiamati a scuoterci, ad avere gli occhi aperti, a non sonnecchiare, a non omologarci con il mondo intorno. Siamo invitati ad investire tutto quello che abbiamo in disponibilità di tempo, in ricchezze, in capacità di amare per la creazione di un tesoro. I “buoni fruttiferi” che dobbiamo accumulare non sono quelli che conosciamo. Questi che ci propone la Parola di Dio hanno un altro costo e un’altra resa: è tempo di aprire il nostro cuore ai bisogni degli altri, non considerando ciò che possediamo un diritto, di avere “le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”, di essere “simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito”.

“Subito” è un’espressione che ricorre spesso nella Sacra Scrittura e descrive l’atteggiamento della persona che, toccata dall’esperienza di Dio, risponde con sollecitudine, senza indugio e apre la porta quando sente il Padrone bussare.

La vergine Maria, dopo l’annuncio dell’angelo, avendo saputo che Elisabetta sua cugina, pur essendo già avanti negli anni, era incinta, si mise subito in viaggio per andare ad aiutarla. Si rimboccò le maniche, si rese disponibile, senza tener conto del fatto che la sua vita era stata scombussolata e lei stessa era incinta.

Maria aveva già “i fianchi cinti e la lampada accesa”; è la Vergine dell’attesa, pronta, vigilante, attenta ad ogni movimento dello Spirito. La sua lampada brilla al punto che ha attirato lo sguardo del Padrone; la sua luce ha rischiarato le nostre notti e continua a farlo anche oggi.

Lei ha goduto della beatitudine descritta nel brano di Luca: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli”.

Quante domande si affollano nella mente: Stiamo aspettando il Signore? Desideriamo incontrarlo anche nella stanchezza di un’attesa insonne oppure ciondoliamo in un dormiveglia spirituale che è preludio di un totale fallimento? Perché dobbiamo aspettare?

L’evangelista ci svela il motivo per cui vale la pena di restare desti e attendere: se il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli i suoi servi “si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.”

Un’inversione di ruoli, una vera rivoluzione: il padrone si farà servo dei suoi servi! Sarà lui che, nel cuore della notte, senza tener conto della sua stanchezza, apparecchierà la tavola e servirà coloro che mai avrebbero pensato di ricevere un simile onore.

Immagino quei servi e il loro imbarazzo nel vedere il padrone portare l’acqua per lavare i piedi, servire a tavola cercando di prevenire ogni loro desiderio. E’ valsa la pena perdere una nottata di sonno se poi il tutto termina in questo modo così inaspettato!

-Beati loro!- ripete S. Luca. E beati noi se saremo capaci di metterci in atteggiamento di attesa vigilante, se lasciamo che la fiaccola della fede sostenga ogni nostro gesto, se il desiderio di un incontro così prezioso tiene viva la speranza in noi. Saremo serviti dal Signore!

Nella prima lettura viene ricordata la promessa che il popolo aveva ricevuto e come, nonostante tutte le tribolazioni passate, “era in attesa” anzi “si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri”. Erano il popolo di Dio e avevano piena fiducia in Lui: nutrivano, con forza, la speranza di ottenere ciò che era stato loro promesso e lodavano e ringraziavano Dio sempre e comunque.

Nella lettera agli Ebrei c’è una forte sottolineatura circa la fede degli antenati: Abramo, Sara, Isacco, Giacobbe vissero ogni avvenimento ben sapendo che Colui che aveva promesso è degno di fede. Essi morirono “senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria”.

Se facciamo nostra la condizione di essere pellegrini e stranieri sulla terra allora capiremo cosa vuol dire essere in attesa di raggiungere la meta.

Signore Gesù, la nostra vita spirituale è contrassegnata dal dormiveglia. Ci lasciamo andare alla pigrizia e alla noia e rimaniamo fermi nelle nostre tristezze. Ma tu ci inviti a restare svegli, con addosso i segni del nostro servizio e con la luce dell’amore per i fratelli sempre accesa. Ti chiediamo di rafforzare la nostra fede per credere oltre ogni ostacolo, di nutrire la nostra speranza per renderla certezza in te, di aprire il nostro cuore alla carità. Con questi doni ci incammineremo sicuri verso la meta che ogni persona desidera: il cuore di Dio. Amen.

CB 08.08.2010 MTM