05 giugno 2011

Ascensione di nostro Signore (Anno A)

Dagli Atti degli Apostoli 1,1-11

Dal Salmo 46

Dalla lettera di San Paolo agli Efesini 1,17-23

Dal Vangelo secondo Matteo 28,16-20

La festa che celebra l’ascensione al cielo di Gesù è un’ulteriore prova per i suoi discepoli. Non si erano ancora ripresi dagli ultimi avvenimenti: la celebrazione della cena pasquale,la cattura di Gesù, la sua scandalosa morte in croce, la notizia della sua resurrezione diventata immediatamente realtà: “Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio”.

Solo la costante vicinanza di Gesù risorto che compie di nuovo i gesti della quotidianità riporta serenità. I discepoli però restano sconcertati ogni qual volta Gesù accenna al fatto che presto dovranno rimanere da soli. I suoi insegnamenti non erano stati sempre facili da comprendere ed ora l’esplicito riferimento ad un suo allontanamento definitivo rimane incomprensibile o meglio inaccettabile: loro vogliono stare insieme al Maestro per sempre e Gesù coglie ogni occasione per continuare a istruirli e a fare raccomandazioni: “Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme…”.

E’ di fondamentale importanza coltivare l’unità, il dono per eccellenza di ogni comunità, di ogni chiesa, per non cadere nell’errore di isolarsi o di disperdersi. Compito assolto pienamente da Maria, la madre, colei che continua il cammino in silenzio, che porta nel cuore gli interrogativi di tutti, che ripete all’infinito il suo “sì”. E’ lei il perno su cui i discepoli poggiano i dubbi e le incertezze, i tentennamenti e la sfiducia, la tristezza e lo scoraggiamento.

Il suo ruolo è di ricordare continuamente gli insegnamenti del Signore: «…riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra». Promessa che non viene compresa perché è di inimmaginabile portata: lo Spirito creatore, che aleggiava sulle acque e che ha permesso l’incarnazione di Gesù, sarebbe disceso sui discepoli. Nuova creazione e nuova nascita: quella della Chiesa, realtà umana e spirituale insieme, eterna e fragilissima.

Sul monte Gesù viene elevato in cielo e scompare mentre i discepoli, come bambini, restano con il volto all’insù e gli occhi sgranati nella speranza di vederlo ancora. Non hanno parole, non ci sono commenti, solo un senso di solitudine profonda. E il cielo si commuove davanti alla loro tristezza e invia gli angeli: “quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? ».

Non è un rimprovero, ma un delicato tentativo di avviarli a focalizzare la loro attenzione sulle realtà future, speranze certe per tutti coloro che credono. Guardare il cielo significa alimentare la tensione spirituale che ci deve contraddistinguere senza dimenticare che lo sguardo deve poi tornare a posarsi su chi ci sta accanto, sui bisogni delle persone.

Questo deve essere il nostro non allontanarci da Gerusalemme, dalle realtà che ci circondano.

Da soli però non siamo capaci e allora ci appoggiamo ai primi versetti della splendida lettera di san Paolo agli Efesini che è preghiera e catechesi, augurio e richiesta a Dio affinché “vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità”.

Desiderare dunque prima di tutto: una profonda conoscenza di Dio che è irraggiungibile ma Gesù è venuto a parlarci di lui e ce lo ha fatto diventare familiare, aiutandoci a scoprire soprattutto il suo amore di Padre.

Sta a noi percorrere con costanza e fedeltà i sentieri che rafforzano la conoscenza di Dio: preghiera, parola, eucarestia, comunità. Essi si intersecano quotidianamente, ma hanno una sola direzione e un unico sbocco: il cuore di Dio.

Il secondo desiderio che dobbiamo coltivare è che Dio illumini il nostro cuore per comprendere la speranza alla quale siamo chiamati. Non una conoscenza solo intellettuale, ma un’esperienza profonda del cuore che ci farà scoprire il tesoro di gloria riservato per noi.

Tutte queste operazioni le compie lo Spirito Santo nel segreto dell’anima desiderosa di fare esperienza di Dio. Nessuno conosce i modi e i tempi, si avvertono solo i frutti: chi ha gustato l’opera dello Spirito nel suo cuore non può trattenersi dal rendere testimonianza a Gesù, Signore della vita. Tutti i santi hanno manifestato con la loro vita la molteplicità delle grazie e dei doni che lo Spirito ha in serbo per coloro che credono. Non intimismo ma intimità, non chiusura, ma apertura verso il mondo, non confusione, ma pace profonda.

Signore Gesù, perdonaci quando non ricordiamo che tu ci raccomandi di non allontanarci da Gerusalemme, dalla Chiesa; quando presumiamo di essere capaci di vivere l’esperienza della fede con le nostre sole forze; quando crediamo di avere in mano le soluzioni, quando pensiamo di poter amministrare le cose spirituali. Hai promesso che sarai con noi tutti i giorni e su questa promessa noi fondiamo la nostra vita. Manda il tuo Spirito consolatore a purificare le menti e i cuori e a riempirli di amore verso Dio e verso i fratelli; solo così saremo capaci di essere testimoni credibili della tua resurrezione. Amen.

CB 05.06.2011 MTM