3 FEBBRAIO 2013

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Dal libro del profeta Geremìa 1,4-5.17-19

Dal Salmo 70

Dalla prima lettera di S. Paolo ai Corìnzi 12,31-13,13

Dal Vangelo secondo Luca 4,21-30

La liturgia della Parola di oggi è tutta un dialogare tra: Dio e il profeta Geremia nella prima lettura, un’anima che prega e il Signore nel salmo 70, l’apostolo e i convertiti della comunità di Corinto nella seconda lettura, tra gli abitanti di Nazaret e Gesù nel brano del Vangelo.

Come è il nostro dialogare con Dio? Si limita forse solo alle preghiere, segno della nostra sbiadita relazione con Lui oppure cerchiamo tempi e spazi per ascoltarlo?

Se nel corso della vita dovessimo andare da un responsabile del personale di qualche multinazionale per chiedere un posto di lavoro, prima di presentarci, ci informeremmo su di lui, sia a livello personale che lavorativo, cercheremmo di farcelo amico, di entrare in relazione empatica con lui, moltiplicheremmo i nostri sforzi per presentarci bene, per dare di noi un’immagine positiva e coerente con le nostre referenze, ma soprattutto acquisiremmo notizie sul suo essere manager per poter soddisfare le sue richieste.

Una vecchina saggia, che ho conosciuto tempo fa, direbbe -Siamo sulla terra e bisogna comportarsi da persone umane!- Già, sulla terra! Ma quando si tratta di Dio, invece di “cercare la relazione” vogliamo, il più delle volte, essere noi a dettare le regole!

Il vangelo di oggi ci porta a Nazaret, nella sinagoga dove dilaga lo scandalo per l’affermazione di Gesù dopo la lettura del rotolo del profeta Isaia: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

In un primo momento “Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”, ma poi, per la folla, emergono dettagli che non quadrano : «Non è costui il figlio di Giuseppe?».

Dicevano: -È bello, bravo, dice parole di grazia, ma è il figlio di uno di noi, quindi … uno normale; come può essere che in lui si realizzano le profezie? -Evidentemente la loro attesa del Messia li aveva portati a fantasticare: attendevano altro che il figlio di un qualunque falegname. Troppo “comune”; un liberatore così non risponde ai progetti di grandezza che avevano sognato.

Sì, il Messia si è fatto uno di noi, per poter dire a ciascuno: – Conosco le tue difficoltà, so cosa significa guadagnarsi il pane, so cosa vuol dire essere dover andare ad abitare in una terra straniera e non avere un luogo dove nascere, so cos’è la precarietà, conosco il dolore, conosco la gioia dell’amicizia, ma anche le delusioni, so cosa significa non essere accettati e conosco anche l’amarezza dell’essere traditi -.

Gesù si è fatto come noi per consentirci di avvicinarci a Dio con fiducia. Si è fatto prossimo affinché noi ci riavvicinassimo a Dio, entrando in relazione filiale con Lui, con piena fiducia.

Gesù sottolinea che è l’atteggiamento del cuore che ci permette di relazionarci con Dio. Pretendere i segni, come fecero gli abitanti di Nazaret, significa entrare in una logica sbagliata: Dio opera nella piena libertà. Cita, a tal proposito, due casi presenti nel Vecchio Testamento: quello della vedova di Sarepta e quella di Naaman il Siro per evidenziare questa libertà di azione.

Quelli che erano nella sinagoga avvertirono il rimprovero e si mobilitarono: cacciarono fuori dal tempio Gesù e, quasi di peso, lo portarono sul limite di un burrone per gettarlo giù. “Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”. Possiamo anche cacciare Gesù dalla nostra vita, ma non possiamo fermare il suo cammino, fatto di prossimità all’uomo, di annuncio del Regno, di miracoli e prodigi.

È questo cammino che siamo chiamati a percorrere. Viene spontaneo obiettare che non sappiamo come fare. Ci viene in soccorso san Paolo con uno dei brani più belli delle Lettere noto come inno alla carità.

Il brano che abbiamo ascoltato domenica scorsa parlava della varietà dei doni che lo Spirito Santo dà ai credenti per vivere una vita di fede piena, mentre oggi S. Paolo ci dona versetti che dovrebbero andare a far parte di quel bagaglio di brani da mandare a memoria a forza di meditarli. L’apostolo desidera mostrare ai cristiani di Corinto e a noi la “via più sublime” per imitare il Maestro, la via dell’amore.

Gesù l’ha percorsa insieme con Maria, Giuseppe, i suoi discepoli e i santi che si sono incamminati alla sua sequela. Non importa se sappiamo fare miracoli: quello che vale è la carità che ci permetterà di seguire e di raggiungere il Maestro su questa via santa.

Signore Gesù, siamo incapaci di seguirti perché ci sentiamo inadeguati. Abbiamo dimenticato lo Spirito Santo che ci dona ogni cosa buona per renderci atti a vivere la sequela. Abbiamo creduto di doverci ammantare di capacità straordinarie mentre la Parola ci viene a dire che l’unico abito da indossare è quello della carità. Donaci, ti preghiamo, di desiderarla con tutto il cuore. Amen.

CB 03.02.2013 MTM