Nel Libro di Ester, Dio non si trova. Come ha fatto questo testo a entrare nella Bibbia?

Leggere la Bibbia (e comprenderla in modo idoneo, per quanto è possibile) si rivela spesso un compito difficile, che richiede pazienza e formazione, attenzione ai dettagli, un po’ di conoscenza generale del contesto in cui i testi vennero scritti e l’umiltà intellettuale per ammettere che si sbaglia spesso. La cosa più importante di tutte, però, è il fatto che la Bibbia dev’essere letta con uno spirito avventuroso, disposto ad affrontare le sue tante “eccentricità”.

Dire che la Bibbia è piena di stranezze è sottovalutare la questione. Dire che è un libro esigente è giusto e sbagliato allo stesso tempo. Tanto per cominciare, la Bibbia non è un libro, ma un insieme di vari libri separati, per la maggior parte (se non tutti) derivanti dall’intreccio di fonti diverse, a volte apertamente contraddittorie. È anche il sottoprodotto del lavoro minuzioso e faticoso di generazioni e generazioni di scrittori, compilatori ed editori. È una raccolta di testi scritti, rivisti e codificati nel corso dei millenni.

Non sorprende che non ci sia un’unica Bibbia. Nella fattispecie, ci sono migliaia di traduzioni diverse, alcune delle quali migliori di altre. Ci sono Bibbie letteralmente diverse. Gli Ebrei ne hanno una, i Protestanti un’altra, gli Ortodossi e i Cattolici un’altra ancora – la più grande di tutte, con 73 libri in totale. Il canone luterano include invece 66 libri. Sicuramente tutte queste Bibbie sono collegate le une alle altre, e spesso si sovrappongono, ma non sono la stessa.

Il processo di decidere quali testi entrano nella Bibbia e quali no è chiamato canonizzazione – un termine apparentemente derivante dalle canne con cui venivano anticamente realizzate le aste di misurazione, poi passato a intendere nell’uso cristiano “norma” o “regola”. Al canone ebraico, assemblato nel corso dei secoli, ci si riferisce spesso come al “Tanakh”, acronimo delle prime lettere di ciascuna delle tre collezioni principali che include: “T” per la Torah (i primi cinque libri), “N” per Nevi’im (che significa “profeti”, e include non solo i libri con i nomi dei profeti, ma anche i libri storici di Giosuè, Giudici, Samuele e Re) e “K” per Kethuvim (“scritti”, che include più o meno tutto il resto).

Le Bibbie cristiane inseriscono i libri in un ordine diverso. Se il Tanakh inizia con la Genesi e termina con il Libro di Ester, i cristiani hanno riorganizzato il canone, dando priorità alla loro comprensione di quei libri come visti alla luce di Gesù: anziché terminare con i Kethuvim, la parte della Bibbia cristiana a cui in genere ci si riferisce come all’“Antico Testamento” termina con i Nevi’im, i libri profetici. Questo per sottolineare il fatto che Gesù, che ha insegnato “la legge e i profeti”, era la realizzazione di entrambi – una decisione editoriale che per i cristiani ha perfettamente senso. Ma perché gli editori ebrei della Bibbia decidono di concludere il loro canone con un libro (particolarmente violento) che non menziona affatto Dio? Perché la Bibbia ebraica inizia con un libro in cui Dio è onnipresente (il Libro della Genesi) e termina con uno in cui non si trova da nessuna parte (il Libro di Ester)? E com’è entrato questo libro nella Bibbia? Alcune fonti antiche suggeriscono che il libro si sia in un certo senso “intrufolato” nel canone, e infatti la sua inclusione in essa è stata fonte di dibattito nei primi secoli del cristianesimo.

Alcuni autori dicono, però, che Dio non è necessariamente assente, ma solo “nascosto” nel testo.

Il Libro di Ester testimonia come fosse difficile essere Ebrei sotto un potere straniero. In poche parole, il libro racconta la storia di Ester, una donna ebraica in Persia che alla fine diventa regina e impedisce un genocidio contro il suo popolo, ribaltando un omicidio originariamente progettato nei suoi confronti. Gli studiosi concordano sul fatto che il libro non è storico: è un costrutto fittizio volto a spiegare le origini di una festa ebraica, Purim. Ma Ester è anche qualcos’altro.

Il fatto che una storia biblica non menzioni mai Dio sicuramente colpisce. Come spiega Kristin Swenson in A Most Peculiar Book: The Inherent Strangeness of the Bible, “per gli Ebrei che parlavano greco del I secolo era abbastanza complicato aggiungere episodi e preghiere che avrebbero rinforzato il livello di pietà tra i capi e reso esplicito il fatto che Dio era coinvolto in continuazione. Queste aggiunte greche sono incluse nella Bibbia romano-cattolica e in quella ortodossa. Nelle Bibbie protestanti, appaiono solo come parte degli Apocrifi”. Se si controlla la versione cattolica rivista standard della Bibbia, si scoprirà che il Libro di Ester ha una numerazione piuttosto strana: il capitolo 16, ad esempio, è incluso tra il capitolo 8 e il capitolo 9. Il libro inizia inoltre con i capitoli 11 e 12, e solo allora riappare il capitolo 1. Questi capitoli intervallati corrispondono alle “pie aggiunte” già incluse nella Septuaginta. Al momento di compilare la Vulgata Latina, San Girolamo notò che quei sei capitoli non facevano parte del testo originale ebraico e li aggiunse alla fine del libro. Solo edizioni molto successive della Vulgata (attualmente la Nova Vulgata rivista del 1969) li hanno inseriti direttamente nella narrazione.

Prima che le pie aggiunte venissero incluse, il libro non menzionava affatto Dio. Nella sua Introduzione all’Antico Testamento, la famosa studiosa Christine Hayes paragona il Libro di Ester ad altri scritti apocalittici, in particolare il Libro di Daniele. Entrambi raccontano la storia di una minaccia radicale esistenziale per il popolo ebraico: la minaccia di un altro genocidio. Daniele ordina al popolo di aspettare fedelmente che Dio risponda alla crisi. In Ester, il pericolo viene affrontato solo con l’azione umana. Ma è davvero così?

Guardare all’originale ebraico potrebbe gettare un po’ di luce su questa assenza apparente. La tradizione rabbinica spiega che il Tetragrammaton, “YHWH”, è presente anche se in forma nascosta in vari acrostici complessi che si ritrovano nel testo ebraico: l’iniziale o le ultime lettere di quattro parole consecutive, avanti o indietro, comprenderebbe il Nome del Signore, YHWH – queste lettere venivano distinte in almeno tre manoscritti ebraici antichi in rosso. Il libro, allora, mostrerebbe che Dio guida sempre il corso della storia, anche (o soprattutto) quando non sembriamo notare che sia così. In sostanza, il Libro di Ester dev’essere letto come una testimonianza di fede duratura, di azione umana coraggiosa ispirata e guidata da Dio, che è così intimamente coinvolto con l’uomo che dobbiamo fare attenzione a dettagli apparentemente irrilevanti per notarlo.
tratto da Aleteia.org