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Il miracolo che Gesù compie, riscattando un sordomuto dal suo isolamento, è riconosciuto e acclamato dalla folla come il compimento delle antiche Scritture di Israele:

«Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!» (Mc 7,37).

Ciò che i profeti non hanno mai esitato a ricordare al popolo è che Dio, pur essendo «immune da favoritismi personali» (Gc 2,1), non smette mai di avere un occhio preferenziale per Israele, così come per tutti coloro che rischiano di essere oppressi a causa dell’arroganza dei potenti o emarginati dall’indifferenza sociale. L’apostolo Giacomo ricorda ai primi cristiani come questo criterio di scelta debba plasmare la vita della comunità:

«Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?» (Gc 2,5).

Mentre si trova in pieno territorio pagano, Gesù è condotto all’incontro con un uomo rimasto privo di parole, sprovvisto della capacità di ascoltarne e pronunciarne il suono. Altri, infatti, devono farsi ambasciatori della sua personale afflizione: «E lo pregarono di imporgli la mano» (Mc 7,32). Quest’uomo rappresenta bene un certo “autismo esistenziale” in cui tutti rischiamo di scivolare, quando cediamo al fascino e all’inganno dell’individualismo. Dedichiamo tante energie alla cura di noi stessi, diventando persino belli, bravi, efficienti. Eppure, nel campo degli affetti personali, scopriamo di essere piuttosto impreparati a reggere l’impatto con la realtà e con la complessità delle relazioni. Di fronte a questo scenario — già i profeti dicevano — «giunge la vendetta, la ricompensa divina» (Is 35,4), perché Dio non può accettare che la nostra vita sia una fuga dai rapporti e una lenta chiusura in noi stessi.
Forse anche per questo il primo gesto che Gesù compie su quest’uomo è sottolineare la condizione di estraneità alla vita e agli altri, in cui si trova:

«Lo prese in disparte, lontano dalla folla» (Mc 7,33).

Questo miracolo, compiuto lontano dai riflettori, ricorda a ciascuno di noi che esiste una dimensione nel rapporto con Dio che non può risolversi insieme ai fratelli — attraverso i preziosi momenti comunitari della fede — ma soltanto dentro i sacri confini di un incontro personale. Del resto, molte delle cose più importanti, la vita le regala proprio in disparte, quando ci troviamo improvvisamente a subire il peso di una sosta o l’angoscia di una solitudine. Questi momenti, illuminati dalla preghiera nostra e dei fratelli, possono diventare l’anticamera di importanti trasformazioni che la nostra umanità da tempo invocava e attendeva, autentici momenti di grazia in cui lo Spirito del Signore, silenziosamente, ci offre nuovi punti di partenza.
Ponendo le sue dita negli orecchi e la sua saliva nella bocca, il Signore Gesù fa sentire al sordomuto tutta la potenza delle opere e delle parole di Dio e lo abilita ad annunciarne la verità e la bellezza:

«Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”» (Mc 7,33-34).

Per far percepire la profondità e il dono di libertà che Dio è capace di restituire all’uomo, Gesù compie un gesto che porta a compimento tutta la speranza profetica: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto» (Is 35,5-6). Ricominciare ad ascoltare i suoni e le promesse della vita è il punto di arrivo di un percorso, che nasce anzitutto dal saper aprire il cuore alla speranza di non essere destinati a rimanere soli, ma invitati a nuove e sempre possibili forme di comunione:

«Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio» (Is 35,4).

Ricominciare a gustare la presenza e il sapore della salvezza di Dio attraverso i nostri sensi è la guarigione di cui abbiamo bisogno per compiere l’esodo fuori da ogni isolamento in cui possiamo trovarci:

«E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc 7,35).

Solo quando si riattiva la nostra capacità di ascolto – e quindi di parola – ci riscopriamo capaci di cercare e seguire quel Dio che, pur non facendo preferenze, sempre preferisce restituirci alla vita.

P. Roberto Pasolini