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Le cose a noi familiari non attirano il nostro sguardo, sappiamo che ci sono, che sono lì, come il fondale affidabile su cui innestare la nostra vita. Sembra quasi che siano invisibili, ma in realtà sono essenziali e ci si accorge di questo soprattutto quando vengono a mancare. Sapere che il regno di Dio non attira gli sguardi significa ricollocarlo nell’orizzonte della familiarità. «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!». Il regno di Dio o permea tutta la nostra normalità fino al punto da essere riscattato da una logica di emozioni, oppure esso rimane solo qualcosa di giustapposto alla vita. In questo senso non può essere indicato ma solo mostrato con la vita, esattamente come un uomo non può credere che l’amore per la propria donna è racchiudibile in un regalo, in un gioiello seppur di valore. Se questo amore non lo esprime con la propria vita a nulla serviranno le dimostrazioni esteriori. «Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno». Nessuno, allora, può allora arrogarsi il diritto di racchiudere il regno di Dio in qualcosa, perché esso coincide con la vita stessa. Le cose possono solo essere segno della vita, ma non sono la vita stessa. La tentazione tutta contemporanea di reagire al relativismo con ideologie rassicuranti, precise, granitiche, copre solo la costante tentazione di trovarsi davanti a chi pensa di possedere il regno ma ne possiede solo un’ombra frutto di bisogno di sicurezza. I santi, in fondo, erano certi solo di essere profondamente amati, e molto spesso hanno dovuto attraversare strade che nessuno aveva mai battuto prima. Non erano relativisti, erano realisti. I relativisti non conoscono un amore così, i santi si.

Luca 17,20-25

L. M. Epicoco