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La preghiera è in realtà l’ostinazione della preghiera, nel senso che la sua qualità non è dettata da chissà quale performance, o da quale sensazione di benessere, bensì dal continuo tentativo di cercare di pregare, di provare a pregare, di tentare di pregare sempre, contro ogni ragionamento che ci dice di non farlo più, e contro ogni sensazione che ci dà l’impressione di essere in realtà soli a parlare con noi stessi. Ecco perché Gesù prima raccontare nello specifico una parabole sottolinea il motivo fondamentale: “Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi”. La storia che Gesù racconta ha come protagonista una donna vedova che chiede giustizia a un giudice “che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno”. Sembra la condizione che tutti sentiamo molto spesso nella preghiera: invece di sentirci accolti molto spesso ci sentiamo rifiutati. Invece di sentirci ascoltati, ci sentiamo ignorati. Invece di riceve giustizia, riceviamo indifferenza. Ma hanno davvero ragione le nostre sensazioni? Gesù dice che anche se le nostre sensazioni dicessero il vero la cosa che conta di più è l’insistenza. “Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”. Se persino una persona cattiva fa un ragionamento simile, immaginiamoci Colui che per definizione è Misericordia, Amore, Bontà, Benevolenza e che ci è stato annunciato non come un Dio lontano, ma come l’Emmanuele, il Dio con noi, come Padre. «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Ci vuole infatti fede per pregare, e molta audacia. Ecco perché non conosciamo altro modo per poter sapere se la nostra preghiera è una buona preghiera se non pregando sempre e comunque.
Luca 18,1-8
L. M. Epicoco