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Gesù smonta la tesi del racconto dei sadducei che portando il caso di una donna che sposata con sette fratelli e vedendoli morire uno ad uno si troverà, secondo loro, nella contraddizione di non sapere a chi appartiene quando tutti risorgeranno. Ma quella donna non è un oggetto, e nessuno può possederla, specialmente nella logica del regno di Dio che è una logica di strutturale e radicale libertà. «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito; e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio». Ma questo non lo si comprende se non a patto di aprire e non chiudere la mente. Se c’è un punto su cui la nostra fede si regge o cade questo punto è la resurrezione. Già ai tempi di Gesù c’era una separazione netta tra chi credeva in essa e chi no. C’è però anche da dire che anche tra quelli che ci credono ai giorni nostri, qualcuno si è fatto un’idea sbagliata confondendo la resurrezione con una qualche forma di reincarnazione, o rivitalizzazione di un cadavere. La resurrezione è un fatto che sfugge dall’essere descritto nella sua totalità. Di certo però sappiamo che è il dono di una vita concreta, in un corpo concreto, liberato però dalla dittatura del peccato e della morte. Nessuno può spiegare questo mistero perché come tutti i misteri al massimo si può farne esperienza. Di certo però non si può comprendere nulla della resurrezione se la si concepisce come la stessa vita che c’è qui. Un seme ha una vita, ma quando muore (germoglia) diventa un albero che è anch’esso vita, è vita che viene dal seme, ma nessuno si sognerebbe di dire che è come prima, poiché invece è radicalmente diverso. Allo stesso modo pensare la resurrezione con le stesse logiche di possesso e di limite con cui ci viviamo la vita qui, significherebbe non comprendere nulla della vita donata nella resurrezione.
Luca 20,27-40