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Ci sono dei momenti in cui prendiamo talmente tanto distanza dalla vita da non riuscire più né a gioire né a soffrire veramente per nulla: “Ma a chi paragonerò io questa generazione? Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che si rivolgono agli altri compagni e dicono: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto”. Questa forma di apatia e di pericoloso cinismo di cui possiamo ammalarci, rende la nostra presenza, ovunque essa sia, un peso. Quando un religioso o una religiosa si ammalano di questa malattia spirituale, rendono la propria comunità un girone di inferno. Quando un figlio assume questo atteggiamento nella propria famiglia, porta i genitori all’esasperazione. Quando un amico in una comitiva si comporta così, rovina sempre la serata a tutti. È un po’ la politica del “come la fai la sbagli sempre!”. Chi non si lascia intercettare in maniera profonda dalle persone o dalle situazioni che vive, è destinato a diventare talmente tanto distante da esserne tagliato fuori. La fede è la capacità di saper stare in maniera “sana” dentro le situazioni senza ammalarsi perché si è diventati succubi, e senza distanze perché si è diventati anaffettivi e apatici. Il termine esatto è “compassione” e Gesù una volta lo aveva spiegato così: “Ridi con chi ride e piangi con chi piange”.
L. M. Epicoco