Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Parola del Signore.

Commenti di don L. M. Epicoco:

Possiamo attraversare deserti, e prima ancora attraversare a piedi il Mar Rosso, salire montagne benedette, imparare a memoria comandamenti, scandagliare con competenza testi sacri, ma l’unica cosa che cambia la vita è sentirci addosso l’essere amati. E l’amore è quando qualcuno preferisce la tua vita alla sua. L’amore è nessuno che ti presenta il conto. L’amore è quando non puoi dare nulla in cambio se non la felicità che ti scoppia nel cuore. Credo che sia questo il motivo per cui Gesù parla di sé nel Vangelo di oggi come il “buon pastore”: “Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore”. Tutta la vita spirituale cristiana è custodire in noi la consapevolezza di questo senso di appartenenza. Se tu fai memoria “di Chi sei”, e “Chi è che ti ama” allora tutto cambia. Ma anche questo tipo di consapevolezza è un dono dello Spirito Santo, perchè senza di Lui questa semplice informazione rimane solo nella nostra testa senza scendere al cuore. Solo lo Spirito ha il potere di far arrivare ciò che conta al cuore stesso, ha il potere, cioè, di rendere esperienza ciò che può giungerci solo come parola. Ecco allora che di domenica in domenica il tempo pasquale ci porta a comprendere che aspettare la Pentecoste è vitale quasi quanto la Pasqua stessa. Infatti a cosa servirebbe essere salvati, senza essere convinti davvero di esserlo stati? Vivremmo ugualmente da disperati. Ma lo Spirito fa in modo che ciò che sappiamo divenga esperienza, vita stessa.