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Siamo sempre profondamente toccati dall’annuncio degli angeli che si rivolgono ai pastori e li rimettono in cammino verso una «mangiatoia» (Lc 2,7). Gli angeli sono particolarmente gentili con questi poveri, che forse sono persino estranei a quel grande movimento dovuto al «censimento di tutta la terra» (2,1) e danno loro, come segno, niente che sia troppo straordinario alla quotidiana esperienza, ma piuttosto qualcosa di profondamente conosciuto e familiare, come può essere una stalla. Nella Messa dell’Aurora i nostri occhi si aprono, più che stupiti, su questo “trovare” dei pastori, cosa che è esattamente quello che gli angeli hanno loro annunciato, ma – ancora più esattamente – ritrovano il compimento delle loro speranze e la dilatazione del loro desiderio, proprio là dove possono comprenderlo e per questo possono più facilmente e veramente riconoscerlo e amarlo:
«Andarono senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino, adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16).
Non possiamo dimenticare di soffermarci su ciò che nel frattempo è avvenuto per Giuseppe, che si ritrova tra le braccia un bambino – sì proprio un bambino! – che corona il suo desiderio di essere padre, e lo incorona con una gioia ancora più grande a motivo del dubbio tremendo che ha scosso il suo cuore. Mentre i pastori si recano a Betlemme, i magi forse già vedono sorgere quella «stella» (Mt 2,1) che diventerà la loro guida nel lungo viaggio verso Betlemme. Anche per loro, il «segno» (Lc 2,12) non può che corrispondere alla loro sensibilità e non può che rivelarsi nel fulgore ammaliante di una stella, che li affascina e li mette in movimento. Eppure, pastori e magi, dovranno andare oltre il segno e nella mangiatoia – come sotto la stella – dovranno lasciarsi stupire da un bambino.
Celebrando il mistero del Natale, siamo chiamati anche noi a lasciarci interrogare da un segno che ci porti fino al Bambino, il quale ci porterà, con la sua parola e i suoi gesti, ben oltre noi stessi, verso i sentieri del Regno di Dio che viene in mezzo a noi. Quale segno ci viene indicato perché si affrettino i nostri passi verso un riconoscimento più profondo e un’accoglienza ancora più generosa del seme di una presenza divina capace di umanizzare e dinamizzare? Se per i pastori fu una mangiatoia, se per un uomo – innamorato e desideroso di farsi una famiglia – è un bambino, se per i magi è una stella… per noi cosa mai può essere il segno e come sapremo farci segno? Sullo sfondo del racconto di Luca, un nome come «Cesare Augusto» (Lc 2,1) campeggia sovrano come quello di Erode, che viene drammaticamente evocato da Matteo. Per questi ultimi, un «re» (Mt 2,1) sarebbe stato il segno più giusto e più riconoscibile… eppure non è stato così!
Cerchiamo, con amore e con verità, di lasciarci interrogare di nuovo dal Natale del Signore per riaccogliere noi stessi così come siamo, imparando a discernere, nelle pieghe più banali, ma anche più proprie della nostra vita, il segno che indica la via per rinnovare il nostro incontro con il «Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). Ora l’Altissimo si è lasciato deporre nelle fasce della nostra natura, ed è così vicino alla nostra terra da essere ormai il Prossimo. Il Bambino steso sulla paglia ci dà la gioia di non poterci più vergognare di nulla e di nessuno, per paura di vergognarci di Dio stesso che si è fatto per noi tanto piccolo, fragile, vulnerabile… uno dei nostri.
don Davide Semeraro